I suoi simboli più remoti, dipinti o incisi su pietra o rappresentati in manufatti di osso o di corno, riflettono la profonda credenza in una grande Dea Madre generatrice della Vita, che dalla sacra oscurità del suo grembo dà origine a tutta la creazione: si tratta della Natura stessa, che dona e toglie l'esistenza, che è sempre capace di trasformarsi nel ciclo eterno costituito da nascita, vita, morte e rinascita.
Le statuette dell’età paleolitica e neolitica ci pongono in uno spazio dove le Dee Madri o le Veneri steatopige (letteralmente “dalle grasse natiche”) rappresentavano il Femminile come depositario della magia del ciclo della vita: in particolare, sin dal 25.000 a.C. i seni, la vulva e le natiche della Dea vengono rappresentati in modo evidente e sovra-proporzionato, a sottolineare i centri di emanazione della sua forza procreatrice e della sua saggezza.
Ma poiché nel mondo della natura la morte e la rinascita sono strettamente connesse tra loro, la Dea della morte e quella della rigenerazione sono in genere concepite come una sola divinità, a riconoscimento dell'unione ciclica di queste contrapposte polarità
Inoltre prima di lppocrate (460-377 a.C.), padre della medicina in ambito mediterraneo/occidentale, il pensiero collettivo non aveva ancora chiaramente separato la comparsa delle malattie dall'intervento divino, e pertanto le funzioni attribuite in seguito ai medici, erano comunemente di pertinenza delle figure sciamaniche/religiose: pare che le donne si dedicassero a queste pratiche magico-terapeutiche molto più degli uomini, in particolare, le donne «sagge» della comunità, le donne più mature che avevano terminato il ciclo biologico mestruale.
Da diverse fonti si evince che il ruolo della donna anziana veniva riconosciuto come fondamentale nella celebrazione rituale dei momenti salienti della biologia femminile: era considerato di estrema importanza non solo il momento del sanguinamento mensile, ma anche gli altri momenti di cambiamento nella vita di una donna, quali il menarca, la gravidanza, il parto e la menopausa, (termine che si preferisce tradurre in “Quattordicesima Luna”).

Ne consegue che il Femminino Sacro, espressione dello sconosciuto, del mistero della natura selvaggia e detentore dei segreti della vita, se non scompare completamente, lascia progressivamente, nel corso dei millenni, il suo alone sacrale, venendo a risultare in qualche modo emarginato all’interno del panorama religioso di pari passo alla perdita di prestigio e importanza sociale della donna in seno alle diverse comunità.
L’immagine sacra della donna si tramuta in Santa, Martire, Strega e Madre Vergine; la forma unitaria rappresentata dal poliedrico femminile si frammenta e si polarizza fra mente e corpo, fino a una perdita della consapevolezza della propria corporeità così come la scomparsa di quell’intima sensazione di essere parte di un “fluire” più grande.
Questo rinnovato interesse nasce dalla consapevolezza che il corpo non è soltanto un oggetto del mondo ma anche lo “strumento” di cui disponiamo per agire nel mondo e rapportarci ad esso: il rispetto del corpo e dei suoi tempi, coglierne i bisogni, valorizzarne i passaggi, è un cammino di consapevolezza che ci sostiene nei cambiamenti e ci mostra opportunità inedite.
Mi Rispetto, mi Amo, mi Accolgo, Celebro il Dono della Vita in tutte le sue fasi.
- P. Borgna, Sociologia del corpo, Laterza 2005, p. 75.
- B. Duden, Il corpo della donna come luogo pubblico. Sull'abuso del concetto di vita, Ed Bollati Boringhieri, 1994
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I. Illich, Nemesi medica. L’espropriazione della salute, Arnoldo Mondadori 1977.
- L. M. Chiechi, Donna, etica e salute, Aracne 2006, cit. p. 16
- L. Lombardi, Società, culture e differenze di genere. Percorsi migratori e stati di salute, Franco Angeli 2005,
- F. Neresini (a cura di), Sociologia della salute, Carocci 2001,
- F. Pizzini, Corpo medico e corpo femminile. Parto, riproduzione artificiale, menopausa, Franco Angeli 1999.